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venerdì 19 settembre 2014

Il piano di lavoro: un "oggetto" da superare

La lezione di Coopselios
A cura di Riccardo Rossi


 




Andare “oltre il piano di lavoro”: questo l’obiettivo e l’argomento dell’incontro di cui parleremo ora. L’incontro si è tenuto la mattina del 5 Aprile al Primo Meeting delle Professioni Socio Sanitarie a Piacenza. I temi toccati sono stati molti, e i relatori hanno cominciato parlando delle necessità dell’anziano e di come queste siano cambiate nel tempo, troppo velocemente per ricevere risposta immediata e adeguata.

Si è così discusso di autobiografie o stralci autobiografici degli anziani, in un dialogo che è strumento di ascolto e di cura e in cui l’operatore diventa scriba e salvatore della storia di chi assiste. Un’idea importante, cui soggiace la forte convinzione “che ogni storia di vita sia da ricordare”, e che si possa andare oltre il “risultato visibile”, salvando ciò che altrimenti andrebbe perduto. Su questo sfondo comprendiamo l’importanza del progetto L’amore è come un albero di Dina Bonicelli, Roberta Borsari e Silvana Putzu, pubblicato a cura di Martina Busti con prefazione di Duccio Demetrio; un progetto che raccoglie, dai corteggiamenti al primo amore, dal matrimonio (non sempre frutto di una scelta) al rapporto con figli e nipoti, passando per veri e propri momenti di poesia, storie di vita di anziani “salvate” dalle curatrici.


Nel corso del tempo, fino ad anni recenti, le tecniche hanno avuto troppo spesso il sopravvento sulla comunicazione: a nessuno veniva richiesto di ascoltare, ma a tutti veniva consegnato un piano di lavoro; il che non impedisce di affermare oggi, cercando di rovesciare questa tendenza, “il ruolo strutturale e irrinunciabile della relazione all’atto di cura”. Il concetto che emerge è: torniamo ad ascoltare, a comunicare, ad affidarci all’altro. Non si tratterà mai di una relazione simmetrica, ma di un contatto con la fragilità; gli effetti positivi di una cura che segue l’osservazione e l’ascolto non andranno in una sola direzione.


E parlando di fragilità, dobbiamo confrontarci con l’Elogio della fragilità nell’Alzheimer in Alzheimer. Il sole dietro la nebbia, di Renato Bottura, che ci costringe a guardare in faccia la fragilità intrinseca, ontologica di ciascuno di noi, caratterizzata da limiti, imprevisti, inadeguatezze e chiusure, e si chiede provocandoci se non sia chi consideriamo fragile a spingerci verso il cambiamento: non ci sono forse essenziali, le persone “fragili”? In questa prospettiva, la fragilità non sarebbe più un problema da risolvere, ma una risorsa; e chi è fragile non dovrebbe essere “contenuto”, ma ascoltato. Certo, per ascoltare serve tempo; e per spendere tempo a migliorarci dobbiamo smettere, almeno per un po’, di considerarlo denaro.

Da tutte queste idee e necessità nasce la spinta verso un “nuovo modello organizzativo”, che non cerchi un’efficienza meccanica legata a doppio filo alla “neutralità affettiva”: l’indifferenza emozionale può forse funzionare per ambienti ospedalieri (e non sempre: a questo proposito, consiglio a chi fosse interessato il breve saggio Vivere L’Etnografia. Osservazioni sul rapporto medico-paziente di Francesca Cappelletto, contenuto nel volume da lei stessa curato Vivere l’etnografia), ma al di fuori di essi è necessario superarla e adottare nuovi obiettivi e metodi che innovino un modello in crisi, costoso, motivo di disagio per residenti e operatori.

Copertina di Vivere l'Enografia.

Si tratta di recuperare l’idea di comunità di accoglienza, e di tornare ad attivare “la parte curativa” (e, aggiungerei, creativa) “della tolleranza”: la comprensione dell’altro – nello specifico, l’attenzione “al contenuto emotivo che l’anziano vuole trasmettere.” Si cerca così, punto per punto, di passare da un modello organizzativo a uno di partecipazione, che si basi innanzitutto sull’osservazione e sull’ascolto, quindi sulla cura, e non si discosti mai dal cercare di individuare e soddisfare i desideri, la creatività, le capacità piuttosto che limitarsi a bisogni e compiti specifici quanto sterili.

Non si tratta naturalmente di lavorare “senza regole”, ma di non limitare a esse tutta l’esistenza; il che si riflette anche sullo stile comunicativo adottato dai relatori: gli interventi sono stati intervallati dall’ascolto della canzone Nel primo sguardo di Laura Pausini e dalla proiezione di scene dai film Quasi amici (per la recensione di ANOSS Magazine, clicca qui) e Lo Scafandro e la Farfalla (per la recensione, clicca qui), per mostrare la fiducia, la necessità della comunicazione, la durezza della realtà con cui ci si deve confrontare e la necessità di andare avanti in tutta la loro ampiezza e potenza, non solo logica ma visiva, musicale, sensoriale.


Per non parlare dell’originale presentazione teatrale Futuri trascorsi – Come l’anziano percepisce questo modello organizzativo di e con Stefania Bottazzi, Pasqualina Napoli, Monia Giorgi, Silvia Panini, che mette in scena – nel vero senso della parola – i due diversi modelli di cui abbiamo parlato, uno in cui predomina il piano di lavoro, l’aspetto organizzativo e tecnico e l’altro che tenta di mettere al centro la persona.


L’evento si conclude con una rapida e puntuale disamina dei risultati ottenuti finora all’interno del progetto tentato dal 2012 in Coopselios, che non nasconde i punti critici pur elencando i risultati positivi: le resistenze al cambiamento sono inevitabili, ma questo non deve – e, d’altronde, non lo ha mai fatto – fermare il cambiamento. Come concludere, riflessivamente, le mie impressioni su questi interventi? Siamo tutti alla ricerca di qualcosa, dal nostro primo concetto se non da prima, e dalla prima all’ultima parola.

“Quello che c’è in mezzo”, la nostra realtà consensuale di convenzioni fragili e temporanee, è un’attesa o un’avventura, un’opera d’arte o un gioco, a seconda di fede, speranza, cultura e riflessioni. In essa cerchiamo di ottenere tutta la felicità possibile, fluttuando in quanto esseri umani tra Storia e Mito, tra tecnica e intuito. È tutto quello che sappiamo per certo, se qualcosa sappiamo; e già questo dovrebbe suggerirci di dare più importanza a chi tendiamo a escludere, e di entrare in contatto con chi è “fragile”.

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