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sabato 2 agosto 2014

Come affrontare i problemi della malnutrizione nell’anziano con un nuovo approccio culturale - Parte 2/2

Di Riccardo Rossi


Appunti della lezione magistrale del prof. Gianpaolo Ceda tenuta a Piacenza il 4 aprile 2013


Forti spinte si notano in direzione di un approccio culturale, un approccio che miri a un’educazione alla nutrizione, capace di cambiare più efficacemente di imposizioni o integrazioni forzate le abitudini alimentari della popolazione e le loro conseguenze, utile in via diretta o indiretta specialmente per le persone in una fascia d’età compresa tra i sessantacinque e gli ottant'anni, attive e relativamente sane (per quanto, dai sessantacinque anni in poi, almeno l’80% degli individui sembri presentare almeno una patologia e circa la metà ne presenta almeno tre), che (nel caso molto frequente dell’eccesso) possono con adeguate correzioni allungare la propria speranza di vita e minimizzare il rischio di contrarre molte patologie.


Le misure da prendere in questo senso cominciano a essere adottate in diversi Paesi anche da governi nazionali e sono caldamente incoraggiate da gruppi come la American Heart Association. Se ci rivolgiamo a persone cosiddette “fragili”, che hanno più patologie da affrontare, poi, il problema della malnutrizione per difetto si rivela della massima importanza - non solo nei casi in cui l’apporto calorico sia insufficiente, ma anche in quelli in cui sono le proporzioni a essere scorrette, ovvero in cui vengono a mancare macronutrienti (carboidrati, grassi, proteine) o micronutrienti, vitamine e minerali di cui vedremo la rilevanza fondamentale; le conseguenze le conosciamo: aumento della mortalità e delle ospedalizzazioni, più rischio di cadute, ridotta forza muscolare e quindi funzionalità fisica, aumento di astenia e depressione. Le percentuali di soggetti malnutriti o a rischio di malnutrizione (che vanno, secondo uno studio, dal 40% nelle persone attive, che vivono in casa, all'86% di quelle ricoverate nei reparti per acuti) sono più che preoccupanti.

I rischi connessi a uno stato di malnutrizione per difetto di apporto calorico (e/o di macro e micronutrienti) salgono vertiginosamente per le persone che, a causa dell’isolamento sociale cui abbiamo già accennato o di impedimenti collegati a una polifarmacologia complessa e quindi a patologie multiple, trovano difficoltà nelle azioni quotidiane, dalla spesa alla preparazione dei pasti. La mancanza di aiuto e la debolezza fisica conseguente a particolari stati di salute hanno quindi una forte incidenza negativa sull’alimentazione dell’anziano. Spesso oltre una certa soglia non è la proporzione tra i nutrienti a cambiare in modo controproducente, ma più in generale è l’apporto calorico a essere ridotto drasticamente. Ma se andiamo a valutare l’assunzione di sostanze quali ad esempio il calcio, il cui ruolo primario nel mantenimento e nella difesa di uno scheletro “sano” è o dovrebbe esserci ben noto, ponendo come metro di paragone le quantità giornaliere consigliate (un grammo per gli uomini e milleduecento milligrammi per le donne) notiamo che gli studi evidenziano pericolose carenze nella quasi totalità dei soggetti. Lo stesso vale per la vitamina C, presente soprattutto negli agrumi; e l’importanza dei folati per la produzione di globuli rossi oltre che per la riduzione dei rischi di malattie cardiovascolari viene non solo sottolineata dal professore, ma viene anche presa in esame in quanto fulcro di un’azione messa in pratica dalle autorità statunitensi a partire dal 1995, anno in cui la politica di fare aggiungere alle farine acido folico per legge ha portato a una significativa riduzione ad esempio delle morti per ictus cerebrale. Politiche sanitarie di questo tipo, anche per quanto riguarda la riduzione dell’utilizzo di sale da cucina, non sono ancora state attuate in Italia, con conseguenze spiacevoli (anche, in ambiente sanitario, di carattere economico).


Un capitolo particolare e complesso è quello che vede protagonista la vitamina D, che influisce pesantemente sul livello di assorbimento i calcio e di conseguenza anche sulla mineralizzazione dell’osso, ma anche sul cuore (abbassando i livelli pressori) e sull'integrità muscolare - un tratto da non sottovalutare, in quanto influisce direttamente su quanto i soggetti possano essere attivi e autosufficienti; a dimostrarlo è, tra gli altri, il Longitudinal Ageing Study di Amsterdam, che mette in luce come i pazienti più carenti di vitamina D rischino molto di più in termini di autonomia. Gli alimenti che contengono questa vitamina sono principalmente il salmone fresco, le aringhe e l’olio di fegato di merluzzo, non facili da ritrovare frequentemente nei pasti degli anziani; inoltre il cibo può dare una percentuale minima di vitamina D rispetto a quella prodotta quando l’epidermide entra in contatto con la luce solare. Ma negli individui in età avanzata la trasformazione della vitamina è comunque inferiore: ne risulta pertanto forse indispensabile l’integrazione. Altro elemento importante per la forza muscolare degli anziani e non solo è il selenio, la cui carenza può portare indirettamente a una ridotta funzionalità tiroidea e allo sviluppo di problemi a svariati livelli; in particolare è frequente una debolezza che impedisce o ostacola le azioni dei soggetti. Ma se vogliamo un esempio lampante dell’importanza del selenio, basti guardare alle zone della Cina in cui si sviluppa, in concomitanza con un suolo povero di selenio, la cosiddetta malattia di Keshan, la quale può portare a una cardiomiopatia di tipo dilatativo soprattutto in occasione di infezioni virali abbastanza banali.


Tornando però ai “nostri” anziani, sono stati documentati anche casi di anemia, dovuti a cause apparentemente inspiegabili ma connesse al deficit di alcuni micronutrienti (tra cui appunto il selenio), un fattore che tuttavia continua a venire sottovalutato o perlomeno trascurato. Ma lo stesso discorso potrebbe essere fatto ad esempio per il magnesio, concludendo questa breve carrellata di cenni ed esempi. La lezione passa poi a osservare la duplice e complessa relazione tra l’assunzione di farmaci e la malnutrizione: l’assorbimento e la reazione ai trattamenti farmacologici da un lato e l’assunzione di un adeguato quantitativo di calorie con le corrette proporzioni tra i diversi tipi di nutrienti dall'altro si influenzano reciprocamente, in un legame cruciale e, di nuovo, in attesa di essere pienamente riconosciuto e valorizzato in modo di evitare gli aspetti più spiacevoli di questo rapporto problematico eppure, a un certo livello, inevitabile.




Avviandoci alla conclusione, dobbiamo prendere le informazioni offerteci dal professore e trarne non semplicemente un esercizio di memoria o di erudizione, ma qualcosa che possa essere utile nell'assistenza, al livello macroscopico delle politiche sanitarie su cui i singoli individui, che diano o ricevano assistenza, possono fare poco nell'immediato, ma anche al livello cosiddetto microscopico del lavoro di ognuno, e più in generale della vita di ognuno: nell'ambito della nutrizione come in quasi tutti gli altri, il miglior modo per cambiare le abitudini di qualcuno (che questo significhi un invito a una migliore alimentazione o a dedicare più tempo a chi ne ha bisogno), per insegnare qualcosa il primo passo è impararla sulla propria pelle. Senza dimenticare che imparare non significa cancellare con un colpo di spugna i problemi dal mondo che ci circonda, e senza scordare quindi la necessità di integrazioni, di interventi che migliorino le condizioni delle persone accanto a quelli prescrittivi. Bisogna insomma fare del nostro meglio con gli strumenti che abbiamo a disposizione, dalla breve rubrica di una rivista (nel nostro piccolo) che propone scorci su un’alimentazione diversa seppur tradizionale ai suggerimenti all'attenzione, nel lavoro di tutti i giorni, all'alimentazione di chi siamo chiamati ad aiutare.

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