ANOSS Magazine NEWS

La news letter viene aggiornata aperiodicamente - ANOSS Magazine: Copertine | Editoriali | Estratti

martedì 8 luglio 2014

Lo scafandro e la farfalla - Recensione in chiave sociosanitaria

Via Cinemascope.
Lo scafandro e la farfalla (Le scaphandre et le papillon) è un film del 2007 diretto da Julian Schnabel e basato sull'omonimo libro di ricordi scritto da Jean-Dominique Bauby, che riporta la vicenda e allo stesso tempo la vive da protagonista.

Jean-Dominique Bauby ha avuto un incidente stradale ed è stato copito da un ictus. È inoltre tra i pochi sfortunati a essere immerso in una locked-in syndrome: una paralisi completa che gli lascia solo il controllo degli occhi - l'occhio destro, poi, presenterà dei problemi e dovrà essere cucito.

A Jean-Dominique non resta che una palpebra da muovere; il resto del suo corpo è massa inerte, è una prigione. Il suo scafandro.


Max Von Sydow, che interpreta il padre di Jean-Do.
Via Wikipedia.
Una serie di tecnici, medici, 
operatori specializzati si affannano per prendersi cura di lui, mentre dal suo scafandro, Jean-Do osserva, grida, è terrorizzato, si lamenta, si diverte, flirta - senza che niente di tutto questo raggiunga il mondo esterno. Ma un sistema di comunicazione c'è: E, S, A, R, I, N, T... Un collaboratore legge un alfabeto di questo tipo, e raggiungendo la lettera desiderata vedrà la palpebra del paziente reagire. Così si possono formare parole (per comporne una potevano occorrere due minuti - sembrano pochi, se non ci rendiamo conto di quanto la nostra vita sia fatta di parole, e di quante esse siano), richieste, reazioni di piacere o dispiacere, intere frasi. Ci si potrebbe scrivere un libro - ed è quello he Bauby fa, con grande metodo e controllo, e con estrema pianificazione. Duecentomila battiti di ciglio per scrivere della sua vita rinchiusa nel suo corpo, dei suoi figli a cui doveva bastare "un'ombra, un fantasma" di padre, della ex moglie e dell'attuale partner che non se la sente di vederlo, del padre del protagonista, di dissapori che  venivano nascosti ridendo in passato e ora vengono sciolti dal dolore condiviso.

Jean-Dominique Bauby per molto tempo non riesce nemmeno a pensare a qualcosa come la felicità, una vita felice. È questa la vita? Chiede. È questa la vita?



Jean-Dominique Bauby (Mathieu Amalric) e
Henriette Durand (Marie-Josée Croze). Via FilmeDVD.

Con il tempo, scopre di avere due armi: la memoria dei momenti felici e l'immaginazione per moltiplicarli. Posso andare ovunque, fare qualunque cosa. Realizzare sogni e desideri, amare e viaggiare nel tempo e nello spazio, anche se non al di fuori della sua testa, leggero come il battito d'ali di farfalla del  
suo cuore.

Lo scafandro e la farfalla è un film che fa paura. Fa paura è reale indubbiamente reale, come le fette biscottate e il rischio di fare tardi al lavoro; e fa paura perché Jean-Dominique, per gli amici, è Jean-Do, il cui suono richiama John Doe: così in America ci indica il corpo non identificato, ma anche "uno qualunque", un po' come l'italiano Mario Rossi.

Chiunque può essere Jean-Do. Per questo un film del genere - e lo sforzo che è alle spalle del libro da cui è ispirato - vanno compresi e rispettati profondamente.


Chi si occupa di assistenza deve fare un passo ulteriore.


Accettare la fragilità, la paura, e la pura e semplice fatica, per prendersi cura di chi è chiuso dentro, locked-in, in un modo o nell'altro: il padre di Jean-Do lo chiama al telefono che, all'età di novantadue anni, è diventato il suo carcere, il suo scafandro: Anch'io ho la locked-in syndrome.


Jean-Dominique Bauby non ha avuto una vita lunga come quella di suo padre, ma ha avuto delle persone vicino, persone che ha imparato ad amare e che lo hanno aiutato a viverla, quella vita, un battito di ciglia alla volta, un piccolo movimento alla volta, un debole suono dopo l'altro. Per quelle persone ogni passo è stato difficile, e ogni successo è stato il coronamento di un atto di fede nei confronti della vita.

Lo scafandro e la farfalla,
la vera storia di Jean-Dominique Bauby a cui è ispirato il film,
edito in Italia da Ponte alle Grazie.

Chi ha curato Jean-Do, come chi fa assistenza, non curava un giardino già ordinato, risistemando i dettagli e liberandosi degli scarti, ma ha fatto crescere un fiore dall'asfalto, per usare un'immagine abusata; qualcosa di fragile e meraviglioso.


E a volte, nella vita, bisogna arrendersi alla bellezza.



VISITA LA PAGINA CONTENUTI ONLINE PER LE RECENSIONI, GLI ARTICOLI E GLI APPROFONDIMENTI DELLA RIVISTA ANOSS MAGAZINE DA LEGGERE DIRETTAMENTE SUL WEB.

Nessun commento:

Posta un commento