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sabato 19 luglio 2014

"La Tragedia Greca non si ascolta: si vive!" - Parte 1/2

Di Irene Bruno


 Avevo 10 anni, recita di fine anno scolastico, mi ammalo e arrivo alle prove dello spettacolo pochi giorni prima di andare in scena.
“Ti aspettavamo!” Anselmuccio e Rosellina, Hansel e Gretel nostrani, le fate del bosco, gli abitanti del villaggio, i bambini che giocano nella piazza del paese…. E la Strega.
“Vuoi fare una parte importante? Quella che richiede una bravura particolare?”
“Sì grazie.”
Quanto ho pianto. Studiavo la parte e piangevo. La ripetevo a mia madre e piangevo. La strega è abbruttita, cattiva, vestita male, il viso annerito alla caligine, le scarpe sformate, tutti la odiano, è l’artefice delle disavventure dei bellissimi e buonissimi protagonisti. Ho recitato, non ho sentito gli applausi e mi sono fatta un pianto finale liberatorio.
Poi ho dimenticato questa esperienza.

Tanti anni più tardi, Renato mi dice “Ti aspettavo!”
Mi prefiguro un invito a intervenire come relatore ad un Convegno, il mio tailleur color panna, tacchi, slides ben preparate in Powerpoint, l’allure da donna del nostro tempo. Ma Renato è un vulcano d’idee, tutte originali e innovative e dovevo pensare che non sarebbe stato qualcosa di prevedibile, tradizionale, anche solo lontanamente immaginabile.
Lui mentre cucina, pensa. Mentre guida la sua biposto sportiva, pensa. Mentre ti espone un’idea, ne sta già formulando altre tre. E le realizza tutte.
“Vuoi fare una parte importante? Quella che richiede una bravura particolare?”


“Sì grazie.” Quanto ho meditato. Mi immaginavo la parte e mi incantavo. La ripetevo a me stessa e la sentivo.
“Ho pensato che vorrei mettere in scena la Tragedia Greca: la Maschera Tragica che esprime la sofferenza, il dolore, l’ansia, la sensazione di non farcela. E la Maschera Allegra che prende tutte queste sensazioni e le rimescola, le destruttura e ricompone sotto nuova veste, una veste inedita, e costruisce nuove visioni su realtà che hanno lo stesso abito ma un’anima diversa.”
“Sì grazie.”
“La Maschera Triste te la inventi tu.”
“Sì grazie.”
“La Maschera Allegra sarà Letizia.”
La prima volta che ho ascoltato Letizia ho compreso che lei non parla agli altri, ma “parla con gli altri, con ciascuno di coloro che le sono davanti”. Chiari occhi penetranti che ti catturano e ti portano verso lidi lontani e famigliari, parole che volano e si depositano attorno a noi, sopra di noi, entrano dentro di noi e lì si fanno il nido. 

Probabilmente non sapremmo ripetere neppure una delle frasi che Letizia crea come si modella l’argilla, ma ognuna di esse è dentro la mente, il cuore, il desiderio di chi l’ascolta. E l’accompagnerà da quel momento.
“Sì grazie.”
La Maschera Triste si strucca, toglie i gioielli e ripone i suoi abiti che la identificano nella società. Per diventare strumento di un messaggio d’impatto: possiamo trasformare la debolezza in forza! Una lunga e ampia gonna nera, la maglia dello stesso colore con maniche a tre quarti sui polsi nudi per dare tutto lo spazio alle mani che diventano linguaggio. Dallo scollo rotondo, il collo offre sostegno al capo ornato da lunghi capelli lisci parzialmente raccolti per liberare l’espressione del viso che diventa mobilissimo ed esageratamente espressivo.

Lo sguardo cattura chi è in ascolto e trasmette emozioni… O silenzi…... O lampi di vitalità. Perché? Per dare voce e forma e viso e movimenti a chi non riesce per cultura o per una malattia invalidante, del corpo o della mente che è volata lontano, ad esprimere quello che prorompe e dirompe quei corpi.
Abbiamo l’anziano demente che vaga negli spazi infiniti della vasta prateria di una mente che ha perso confini e punti di riferimento. La paura lo assale ogni volta che un viso sconosciuto gli si avvicina – sono i volti una volta conosciuti dei suoi famigliari e degli operatori che ogni giorno si prendono cura di lui. Drammatizzare con le braccia le ali di un magnifico uccello che si libra lontano, al di sopra di tutti noi, simula i voli di queste menti. Letizia accarezza le ali della demenza e ci fornisce la motivazione per avvicinarsi con dolcezza lentezza, rispetto a questo involucro che una volta era uomo, padre, marito. E torniamo a vederlo come uomo.

Siamo al momento che tutti temiamo e, per il timore di affrontarlo, preferiamo soffrire in silenzio, lontani. I sanitari annunciano che le “condizioni sono critiche, l’esito sarà infausto. I professionisti hanno appreso come affrontare questo momento: microclima e suoni ovattati e luci soffuse creano l’atmosfera. Ma quel corpo esile sotto le lenzuola, quel respiro lento e profondo, gli stanchi occhi chiusi, quelle mani abbandonate lungo il corpo… Sono una persona. 

E nei momenti forti, quando l’emozione o la paura ci attanagliano, non desideriamo altro che qualcuno ci prenda la mano. Non 
sappiamo se ci sentirà, se ci potrà fare un cenno, se una contrazione verrà da noi interpretata come una risposta. La Maschera Allegra ci dice “diamo amore, stiamo vicini in questo momento che non è la fine della vita. Ma parte della vita e come tale va vissuto in ogni suo attimo, per ogni molecola che compone quella persona e per ogni attimo della sua vita”.


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