Di Giuseppe Menculini
Come in tutti i Paesi occidentali, anche in Italia gli anziani sono in netta crescita, raggiungendo ormai il 20% della popolazione. Studi condotti ad hoc ci dimostrano che nel mentre gli anziani sani sono generalmente in un buono stato nutrizionale – pur rimanendo a rischio di malnutrizione -, non così si può dire per coloro che vivono in setting di lungodegenza, magari in solitudine, affetti da numerose malattie o anche in condizioni di povertà. C’è anche un problema di ordine culturale che condiziona molto spesso l’evoluzione verso stati di carenza nutrizionale e cioè una diffusa opinione che l’anziano, in quanto tale, debba mangiare in maniera sostanzialmente diversa dall’adulto.
Condizioni particolari legate al metabolismo, quali il diabete, le dislipidemie, l’obesità la sindrome metabolica, per altro presenti anche in età adulta, possono realmente costituire un motivo di attenzione alimentare, ma in tutte le rimanenti situazioni l’aspetto qualitativo della nutrizione negli anziani non differisce da quello delle età più giovani. Anziani sani che mantengono le proprie abitudini alimentari sono spesso in sovrappeso; il mantenimento dell’usuale apporto calorico, non compensato da un proporzionale dispendio energetico a seguito della riduzione delle attività fisica in età avanzata, porta non infrequentemente all’incremento ponderale. Completamente diversa, invece, è la condizione nutrizionale degli anziani che vivono nei luoghi e nelle condizioni sopra riportati, in RSA, in RP o a domicilio, ma senza un ottimale supporto per assicurare un’adeguata nutrizione. Riprendendo quanto previsto dal Progetto della Comunità Europea in tema di nutrizione, potrebbe sembrare non particolarmente difficile “… garantire che tutti gli individui di una popolazione abbiano accesso ad alimenti sufficienti per quantità e qualità, nonché nutrizionalmente adeguati per condurre una vita attiva e sana, senza riguardo al loro stato sociale ed economico”.
Tuttavia, la realtà sembra essere molto diversa: nel mentre le informazioni sullo stato nutrizionale di questa parte di anziani non sono ancora oggi esaustive della sua reale dimensione, è forte, netta e diffusa la percezione che il problema della malnutrizione sia grande e con implicazioni molto importanti per la salute ed il benessere psicofisico delle persone. La malnutrizione in età avanzata e molto avanzata è una condizione caratterizzata da alterazione dello stato funzionale e strutturale dell’organismo conseguente alla discrepanza che si viene a creare tra il fabbisogno e l’introito degli alimenti; essa è maggiormente rappresentata in difetto (iponutrizione) piuttosto che in eccesso (sovrappeso/obesità). In Italia, la malnutrizione nelle persone ultra65enni è stata stimata essere pari a circa il 5%, ma aumenta notevolmente dal 36,6% all’85% tra la popolazione che vive nelle strutture di lungodegenza; questa notevole variabilità dipende principalmente dal fatto che il problema è sottostimato, misconosciuto e spesso non si fa diagnosi di carenza alimentare.
Eppure ci sono dati che indicano come la mortalità sia maggiore in persone che assumono la metà delle calorie necessarie al proprio fabbisogno, che un basso BMI (Body Mass Index) sia un fattore prognostico negativo per la qualità di vita, che lo sviluppo di problematiche cognitive sia maggiore in anziani a rischio di malnutrizione rispetto a quelli “normonutriti”. E’ anche noto come uno stato di malnutrizione e le complicanze ad esso correlate sia, ameno entro certi limiti, reversibile e che il recupero del 5% del peso corporeo sia in grado di ridurre l’incidenza della morbilità e della mortalità. Per tali ragioni diventa imprescindibile considerare la nutrizione come uno dei principali problemi da tenere sempre presente nella quotidiana pratica assistenziale. Tutti gli Operatori che assistono gli anziani devono essere consapevoli che una nutrizione adeguata è essenziale per contrastare l’evoluzione inevitabilmente peggiorativa di alcune patologie croniche età-correlate, per attuare la prevenzione nei confronti di alcune specifiche situazioni (integrità cutanea, performance cognitive, autonomia), per mantenere un buono stato di salute ed affrontare l’invecchiamento nelle migliori condizioni possibili. Ancor più rilevante è cogliere precocemente i segni di allarme per un potenziale sviluppo di malnutrizione; la loro rilevazione, fatta secondo modalità e procedure adeguate, è la base su cui costruire un valido progetto nutrizionale finalizzato ad evitare gli stati carenziali gravi e le loro conseguenze. Pertanto, per prevenire la sindrome da malnutrizione è opportuno conoscere il maggior numero di informazioni sull’anziano relativamente alle sue abitudini o disabitudini alimentari. Alcune tipiche patologie età-correlate (demenza, depressione, Parkinson, ictus, poliartropatia), così come l’edentulia, l’isolamento e la polifarmacoterapia sono in grado di ridurre l’apporto alimentare; altre condizioni, quali le lesioni da pressione, il vomito, la sindrome diarroica o da malassorbimento, possono invece favorire la perdita di elementi nutrizionali; il diabete, l’insufficienza renale, il distiroidismo sono patologie che, modificando il metabolismo, possono influire negativamente sullo stato nutrizionale; conseguenze di traumi fratturativi e interventi chirurgici, ustioni, sindromi neoplastiche, febbre e infezioni sono condizioni che aumentano notevolmente il fabbisogno nutrizionale; infine, cause di ordine sociale, come la solitudine, la povertà, la perdita di ruolo all’interno della famiglia, la lontananza dai servizi sono fattori importanti per l’equilibrio nutrizionale degli anziani. Una corretta gestione del problema comincia quindi dalla registrazione delle condizioni di rischio e dalla condivisione con le figure professionali che intervengono a vario livello nell’assistenza; ma anche l’osservazione del comportamento alimentare dell’anziano, l’annotazione di quanto introduce ogni giorno sono fondamentali per eventuali precoci supplementazioni e per la prevenzione delle complicanze cosiddette “maggiori”.
Oggi abbiamo a disposizione numerosi strumenti che ci consentono di valutare lo stato nutrizionale degli anziani e quindi di porre in essere specifici interventi. A quelli di tipo anamnestico sopra riportati e a quelli strumentali (TC e DEXA), accurati, ma non sempre di facile accesso, si aggiungono: 1) la valutazione clinica generale, con particolare attenzione alla cute, al sottocute, alle mucose, alla condizione muscolo-scheletrica; 2) dati antropometrici, come il BMI – Body Mass Index -, la plicometria, la circonferenza del polpaccio; 3) il laboratorio che, attraverso il dosaggio di alcuni “marker” (albumina, pre-albumina, transferrina, RBP – Proteina legante il retinolo), ci consente di quantificare un eventuale stato di carenza nutrizionale.
PARTE DUE
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