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sabato 13 settembre 2014

Talk Show Formazione - Parte 2/2



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Per migliorare la motivazione non basta dare degli impulsi a stimolare con immagini, perché il problema non è la motivazione “allo slancio” ma è la quotidianità.

Infine, l’ultima affermazione è un invito a riflettere sulla necessità di innovazione. Dice che il tempo cambia le relazioni e cambia anche i giudizi sulle situazioni.


A questo punto passando alla Dottoressa Irene Bruno la domanda che è venuta spontanea, viste le sue esperienze come formatrice, è stata circa il suo atteggiamento più o meno innovativo. La Bruno raccoglie la provocazione del filosofo circa il fatto che le parole costruiscono la realtà e afferma che se non si mette significato nelle azioni formative non otterremo cambiamenti significativi. Le parole cambiano e creano, per esempio invece di dire che bisogna operare per mantenere le “capacità residue” si dovrebbe dire “capacità esistenti” per evitare la connotazione negativa della parola residuo.




Spezza poi una lancia a favore delle tecniche per attrarre e motivare nel momento formativo perché com'è noto il cervello rimane per poco tempo in atteggiamento di ascolto attivo e va facilmente in stand by. Si deve attrarre l’attenzione ed evitare che le menti vadano altrove così che le parole che vengono dette se ne vanno e non si sedimentano.
Nella pratica bisogna poi applicare le proprie conoscenze con sentimento evitando di essere meccanici per il bene di chi richiede la cura e nostro. L’anziano/disabile deve essere considerato una persona “intera” e a questo devono essere richiamati anche i vertici (direttori e coordinatori) i quali sapranno motivare i propri collaboratori se li considereranno dei professionisti capaci.

L'Avvocato Degani apre il suo intervento ricordando che per parlare di formazione ci si deve porre un punto di domanda su quale sia il contesto in cui si sta operando. Ricorda di aver ascoltato una lezione del Professor Musio (collaboratore del Professor Pessina) di cui riporta una frase:
Tutto cambia rispetto all’uso del nome.



Tutto cambia rispetto al nome che diamo alle persone e a noi stessi e rispetto anche al contesto. La sensazione che si ha a volte, è che tutto si configuri come un elemento della sanità italiana.
Ma noi ci classifichiamo come sociali o sociosanitari.

Personalmente ritengo che la componente tutela della salute è una componente accessoria. Mi sento di essere diverso dalla sanità e non ne accetto gli stessi standard formativi.

Sottolinea che la dimensione sociosanitaria è diversa, che non c’è una dimensione unitaria nazionale ma c’è un principio di sussidiarietà territoriale per cui si deve adeguare l’intervento rispetto alla dimensione della relazione e del territorio, del tipo di bisogno e di come il bisogno è espresso. Ma ci si potrebbe convincere di una visione pervasiva della sanità riflettendo su quello che sono i percorsi di vita e in particolare la lunghezza della vita con i relativi periodi di non autosufficienza e su quanto la non autosufficienza oggi sia parte del nostro percorso di vita, del nostro personale percorso di vita.

Si deve riflettere su quanto il fondo sanitario nazionale italiano debba adeguarsi così da passare da una visione ospedalocentrica e soprattutto dalla presa in carico dell'acuzie a una visione in cui la qualità della vita sulla cui base uno accetta di pagare le tasse e finanziare il sistema. Viene posta in evidenza la necessità di compiere una rivisitazione della nostra professione e la necessità di formare le diverse professioni nell'ottica di una ridefinizione dei percorsi di qualità di vita delle persone per le quali la distinzione tra sanità, sociosanitario, e sociale è assai flebile. Si evidenzia l’importanza di distinguere tra paziente e persona ma non solo da un punto di vista emotivo/filosofico ma anche in una dimensione squisitamente economica. Sul fatto economico pone in risalto la problematica derivante dal fatto che il mondo dei servizi sociosanitari vive di finanza derivata da fiscalità.
  • Un problema è che la fiscalità è basata sulla capacità di spesa (IVA) e la capacità di produrre (IRAP) e a nessuno sfugge quanto possano essere in crescita queste tipologie di risorse!
  • L’altro è che comunque la fiscalità si basa sulla volontà di una persona di accettare di pagare e di non essere evasivo e, in merito, introduce il dubbio su quanto uno possa accettare se non percepisce un aumento della qualità della propria vita.
Per consentire una corretta trasformazione vede la necessità di formare un OSS, formare un medico, un coordinatore, un direttore... Formare un assessore e formare un dirigente dei servizi sociali in modo coerente per una visione evoluta, di un sistema che sta diminuendo le risorse ma che mantiene un’evidente necessità di creare coesione. E la coesione si ottiene offrendo risposte concrete a quella che oggi è la percezione del bisogno rispetto alla qualità di vita in itinere.


Al Professor Franco Iurlaro, considerata la sua esperienza di formatore e anche di direttore di struttura, viene posto un questito riguardo l’impegno dei direttori nella formazione all'interno delle strutture che dirigono. Esordisce dicendo che prima di diventare direttore aveva fatto l’animatore e che voleva farlo per sempre, così diventando direttore ha creato una prima contraddizione; poi affacciatosi al mondo universitario invece di parlare di sociosanitario ha accettato un incarico di insegnamento di economia delle pubbliche amministrazioni ed ecco la seconda contraddizione. Ma alla fine queste contraddizioni che mostrano diverse identità aiutano quanto meno a porsi continuamente delle domande. Per cui
Essere aziendalista/economista aiuta a dare una certa concretezza e razionalità al mio agire mentre la parte animatore mi rende invece più piacevole l’approccio all'esperienza.
Ricorda infine nella sua presentazione che venendo dal Friuli Venezia Giulia ha una grande esperienza di gestione in regime di risorse scarse perché quella regione in quanto ai servizi sociali ha sempre avuto risorse scarse. Dice che, nel tempo, è stato necessario imparare a ragionare su cosa vuol dire operare con risorse scarse anche nell'ambito formativo.

Venendo al tema proposto afferma che il direttore in un sistema a risorse scarse deve contare su due aspetti: il capitale sociale che è capace di avere e far avere a chi lavora con lui e alla sua struttura con la rete che le sta attorno e, soprattutto, il capitale umano. Cioè tutti quelli che lavorano e che devono essere valutati e considerati nell'ambito di quello che complessivamente sono e racchiudono nello scrigno delle loro conoscenze, competenze, abilità e anche emozioni.


Fare formazione all'interno della struttura vuol dire fare autoformazione cioè interrogarsi continuamente su quali sono i passaggi necessari per affrontare i problemi, possibilmente lavorando assieme per arrivare a capire come innovare. Afferma che bisogna tener conto del fatto che tutto cambia e che cambiano anche gli operatori che sono afflitti da stanchezza, da problemi fisici e altro e che richiedo rapidi interventi. La via che suggerisce è che bisogna costruire il lavoro in gruppo che il direttore deve decidere con la collaborazione di un gruppo coeso con cui è possibile fare dei passi avanti assieme.


La soluzione dunque può venire solo dall'interno, nel capitale di cui si dispone. Questo per quanto riguarda l’impegno interno per il direttore che invece nelle attività all’esterno può trovare altri metodi per fare formazione in maniera innovativa in tempi di risorse scarse. Rappresenta l’esistenza della rete associativa come una delle opzioni su cui basarsi per la circolazione delle buone prassi che sono assolutamente vivacizzanti perché permettono di capire che altri con un altro punto di vista hanno affrontato e risolto un problema. Concludendo, in sintesi, la risposta di Iurlaro alla domanda di cosa fa un direttore per la formazione è che nel micro si deve utilizzare al meglio le potenzialità del nostro capitale e all’esterno la rete di relazione e le buone prassi. Con l’intervento di Franco Iurlaro si è conclusa la prima parte del dibattito in cui sono state poste in evidenza posizioni diverse sul tema della formazione negli anni di “vacche magre”. Sono state affermate idee e proposte sia sui temi più rilevanti che richiedono attenzione da parte dei formatori sia sui metodi di pratica realizzazione dei momenti attuativi.

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