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sabato 19 luglio 2014

"La Tragedia Greca non si ascolta: si vive!" - Parte 2/2

Di Irene Bruno



E siamo alla figura del parente, al quale noi togliamo dalle mani questo fagotto di affetto, trepidazione e impegno che gli riempie la vita. Lo ascoltiamo e poi gli chiediamo di stare ai margini di questa vita che fino a un attimo prima era nelle sue mani. Ogni fine, che sia la fine di un amore, di un’amicizia, di un rapporto stretto di parentela, è una fine. Cerchiamo di non essere noi gli artefici.

Conquistiamo la fiducia (che non ci è dovuta perché non è merce che si possa comprare), diventiamo credibili e coerenti (per trasmettere la convinzione che il nostro comportamento è lineare sia quando siamo visibili sul palco sia quando siamo dietro un paravento) e chiediamo a questi famigliari di vivere con noi la quotidianità riscoprendo il piacere di ascoltare e condividere. La fatica ci soverchia? Immaginiamo la figlia dell’anziana entrata oggi in struttura - Camera 201, Letto 2 - mentre è a casa davanti a un pezzo di pane e formaggio, una mela se ha coraggio. Fino a ieri preparava una cremosa zuppa con gli ortaggi dell’ortolano acquistati al mercatino del rione, il pesce fresco appena giunto dalla Riviera, le croccanti carote e frutta profumata di stagione. E offrire tutto questo a sua madre in atteggiamento di accudimento responsabile e allo stesso tempo incatenante al punto da riempire tutto il suo tempo.



Torniamo a vederla davanti a formaggio, pane e mela. I suoi pensieri si perdono sul benessere della mamma che è passata dalle sue mani (attente) a quella di persone che devono badarne tanti, e poi hanno la loro vita e può capitare che non rispondano ad un richiamo proprio subito, se hanno altre urgenze. Ripeto, la fiducia va conquistata, e fa parte della cura dice Letizia, favorire sempre la vicinanza di affetti che si sentono a vibrazione, con il sesto senso, quando i sensi non rispondono più. E’ un privilegio portare in scena quello che condividiamo e osserviamo tutti giorni per migliorare i nostri atteggiamenti al fine di costruire un clima accogliente, stimolante, rasserenante e dinamico. E gli anziani come ci seguono! Ognuno con gli strumenti che possiede, ma con una forza che deriva da una vita dura fatta di 1 o 2 Guerre Mondiali, la fame, il freddo, la lontananza anche di diversi anni di persone care senza avere la minima idea della loro sorte, se fossero vivi o morti, la paura per il futuro quando il futuro era domani e dipendeva da una tempesta che poteva radere un campo di ortaggi e null’altro vi era nella madia o suonavano le sirene per annunciare un bombardamento.


L’uditorio con le sue reazioni fa parte dello spettacolo, perché si percepisce la comprensione della narrazione, la sua condivisione perché fa parte della quotidianità di tutti coloro che son presenti, sul palco o seduti sulle poltroncine, ma protesi con i sensi all’erta. Che siano operatori o figli mariti e mogli che hanno una farfalla che sta volando altrove e non sanno come reagire né come sopravvivere a questo. Occhi negli occhi, si entra tutti nello stesso momento emotivo e si piange assieme e insieme si sorride, ma poi si ritrova la speranza con nuove motivazioni e rinnovate energie. Voglia di tornare nella propria realtà e provare vie nuove. Questa è recitazione e formazione: un arricchimento reciproco dove si fondono le esperienze, i vissuti, le sensazioni e le emozioni.

I Convegni ANOSS non si ascoltano; si vivono.


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